Una chiacchierata sul futuro del branded content e del video storytelling

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Una chiacchierata sul futuro del branded content e del video storytelling

Il video storytelling è il nostro lavoro, e una delle cose che ci rende più felici di farlo è avere intorno professionisti di grande esperienza che collaborano con noi e ci aiutano a crescere.
Proprio per questo abbiamo deciso di dargli spazio attraverso delle interviste che mettano a fuoco prima di tutto la loro professionalità e ci aiutino a inquadrare meglio il mondo della produzione video e audio.

La prima persona con cui ci siamo seduti a parlare è Francesco Denti, Media & Entertainment Executive dalla pluriennale esperienza internazionale:
“Sono circa 20 anni che mi occupo di contenuti un po’ da tutti i punti di vista (dallo sviluppo e dalla produzione di contenuti fino alla loro distribuzione, passando per programmazione, acquisizione, promozione, localizzazione, ecc.). Per gran parte della mia vita professionale ho lavorato per delle multinazionali, tra cui Fox International Channels / Fox Networks Group, dove ho passato ben 14 anni fra Roma, Il Cairo, Tokyo, Abu Dhabi e Dubai, partecipando al lancio di 25+ canali lineari e non lineari in Europa, medio oriente e Asia e dove ho diretto una quindicina di canali Free e Pay di cinema, general entertainment, serie tv, kids e lifestyle.” 

Video storytelling

Tra un ricordo e l’altro emerge la scena dell’“incontro folgorante a Los Angeles con Matt Groening (il creatore de I Simpson) ma anche quella della telefonata arrivata dal palazzo reale di Abu Dhabi nel giugno 2009, qualche giorno dopo il lancio di National Geographic Abu Dhabi: “Sua altezza ha perso i primi 10 minuti del documentario sul King Cobra, potete fermare tutto e ricominciare il documentario da capo?”

Ormai da qualche anno Francesco collabora anche con noi di Story Farm sia in veste di business developer sia in quella di executive producer e recentemente ha partecipato alla produzione del documentario Stigma invisibile per Discovery+, di cui stiamo attualmente producendo l’omonima docu-serie sempre per Discovery+.

Iniziamo la chiacchierata facendo una panoramica del settore e Francesco non ha dubbi: Per chi fa video storytelling - e audio - questa è indiscutibilmente l’età dell’oro. Con il proliferare di servizi streaming, social media e podcast, le opportunità per autori, registi, producers e creators in generale non credo onestamente siano mai state così tante.”

Una chiacchierata sul futuro del branded content e del video storytelling

Branded content

Osservando un panorama così vasto, però, ci si chiede ancora oggi cosa ne è e ne sarà del branded content“Anche per le aziende mi sembra che oggi ci siano tante opportunità nuove da esplorare. Prima era normale per tutti noi guardare la TV e subire le interruzioni pubblicitarie. Ormai, anche grazie a Netflix & Co., ci siamo abituati all’idea che non deve necessariamente essere così. E quindi come alternativa allo spot tradizionale che interrompe la visione di film e spettacoli, si punta su serie, documentari o anche film che siano essi stessi contenuti, e che attraverso tecniche di storytelling raccontino in qualche modo l’essenza del brand e dei suoi valori senza necessariamente soffermarsi sul prodotto. Il racconto del marchio crea così una connessione con gli spettatori tramite delle emozioni.”

La sfida, dunque, è realizzare un video storytelling che sia:
  • interessante;
  • coinvolgente;
  • emozionante.

Come si può ottenere tutto questo?
“Gli esempi di branded content sono infiniti: pensiamo a Red Bull, che è stata capace di creare vagonate di storie che promuovono i suoi brand values, come l’essere atletici e l’amore per la sfida, oppure, per fare un esempio italiano, al corto Barilla con Claudio Santamaria sulle origini della Carbonara, che su YouTube ha superato i 17 milioni di visualizzazioni e ha raccolto centinaia di commenti entusiasti da ogni continente.”

Una chiacchierata sul futuro del branded content e del video storytelling

Siamo all’inizio del 2022, veniamo da un periodo piuttosto complesso e non si può fare a meno di chiedersi cosa succederà anche nel settore video, che ha vissuto una forte evoluzione in questi anni:
“Una delle tendenze che abbiamo già cominciato a vedere da un po’ e che si confermerà nei prossimi mesi è la crescita dell’ad-supported video on demand (AVOD, come YouTube o IMDb TV) e dei FAST channels come Pluto TV (dove FAST sta per free ad-supported streaming TV). 
I servizi SVOD (subscription video on demand: quelli a pagamento, come Netflix, Amazon Prime Video ecc.), che qualche anno fa hanno messo in crisi il vecchio modello della Pay TV satellitare o via cavo, si sono moltiplicati: ogni Studio di Hollywood ormai ha il suo e ognuno di loro offre qualcosa a cui non vorremmo rinunciare, ma in questo modo stiamo tornando ai prezzi che si pagavano per l’abbonamento alla tv satellitare o via cavo. Ogni utente, ogni famiglia ha un limite diverso, ma che questo limite sia di due, tre o cinque abbonamenti, in ogni caso alcuni di questi servizi SVOD rimangono necessariamente fuori. AVOD e FAST rappresentano senz’altro due buone risposte a questo problema”.

Ma i vantaggi dei canali AVOD e FAST non sono finiti:
“Spesso si riferiscono a una nicchia specifica, che sia il parapendio, lo street food coreano, i film di Stanlio e Ollio, le corse di cavalli, i cartoni animati americani anni ’50 o quelli giapponesi anni ’70: questa è un’ottima opportunità per i brand, che possono investire in canali seguiti esattamente dal proprio target di clienti. Una bella differenza rispetto al piazzare uno spot su Rai 1 durante il festival di Sanremo o durante le partite dell’Italia agli Europei o ai Mondiali (dove io brand trovo 10-15 milioni di spettatori, magari addirittura 20, ma non ho idea di chi siano, che cosa facciano e se siano interessati al mio prodotto).”


Parlando di target precisi di pubblico, molte aziende si stanno chiedendo che tipo di contenuti interessano la Gen Z:
“È una generazione di nativi digitali, ma anche di ragazze e ragazzi molto attenti a temi di sostenibilità ambientale, diritti, giustizia, ecc. Si aspettano che le aziende facciano la loro parte e hanno manifestato più volte la loro preferenza per i brand che abbiano in testa anche un benedetto purpose etico oltre ovviamente al legittimo profitto. Il video storytelling che li conquista è fatto di contenuti brevi, fruibili da smartphone. La presenza di un creator di riferimento potrebbe aiutare (una star di YouTube, Twitch, TikTok è vista come più vera e più vicina come valori e interessi rispetto a quelle del cinema o della tv generalista). Il luogo ideale per un brand per raggiungere la Gen Z comunque è il cosiddetto metaverso. Su una piattaforma di gaming. I numeri registrati in questo mondo ancora nuovo e abbastanza inesplorato sono impressionanti. I concerti virtuali di Marshmello e di Travis Scott su Fortnite o di Lil Nas X su Roblox hanno portato più di 10 milioni di spettatori (quanti spettatori entrerebbero allo Stadio Olimpico o a San Siro?). Diversi marchi di moda e abbigliamento, ma anche di intrattenimento, sport ecc., stanno assumendo persone per il loro metaverse department. È un chiaro segnale delle opportunità pazzesche che potrebbe offrire il metaverso ai brands.”

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